Festa del Cinema, Michele Riondino racconta il primo caso di mobbing in Italia con “Palazzina Laf”

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Il Festival del Cinema di Roma 2023 ci sta donando continue nuove proposte e nuovi esordi, come nel caso di Michele Riondino che da attore passa dietro la macchina da presa raccontandoci la vera storia della Palazzina LAF. Uno dei casi più celebri di Mobbing avvenuto nel 1997, nella fabbrica più conosciuta d’Italia e non in senso positivo ma al contrario famosa per le pressioni e vessazioni nei confronti degli operai. Nel 1997, infatti, dodici dipendenti (che poi diventarono 70) vennero forzatamente trasferiti in una palazzina inutilizzata dell’impianto, costretti a trascorrere la propria giornata senza fare nulla, senza lavorare. Erano in gran parte i lavoratori più sindacalizzati e, soprattutto, non avevano accettato la proposta aziendale di lavorare con mansioni e qualifiche inferiori a quelle precedenti.  Nel cast, Vanessa Scalera e Elio Germano: “Volevo attori con una grande esperienza di teatro – dice Riondino -. Avevo il terrore di dovermi porre come regista ad Elio (Germano, ndr), ma è stato proprio lui a tirarmi fuori da questa situazione”. Quando sono a lavoro mi sento guardato a vista. Se non ci sono i vigilanti, ci sono quelli che noi chiamiamo fiduciari della proprietà. Osservano e riferiscono”. Questa è una delle tante testimonianze degli operai Ilva raccolte e contenute negli atti giudiziari del processo “Ambiente svenduto”, riportata in un’inchiesta del 2015 della rivista dinamopress.it. Ancor prima dei processi sul disastro ambientale causato dall’impianto siderurgico di Taranto, alcuni vertici dell’azienda (tra questi anche il presidente Emilio Riva) vennero condannati in primo grado nel dicembre del 2001 per “tentativo di violenza privata”. Quando un dirigente senza scrupoli, Giancarlo Basile (Elio Germano), decide di utilizzarlo come spia per individuare i lavoratori di cui sarebbe meglio liberarsi, Caterino comincia a pedinare i colleghi, a partecipare agli scioperi solo alla ricerca di motivazioni per denunciarli. Con uno stratagemma, poi, riesce ad essere collocato anche lui alla Palazzina Laf: Caterino non ne comprende il degrado (“farsi pagare per non fare nulla” è tutto sommato una prospettiva allettante…), ma lì dentro vengono mandati alcuni dipendenti che non accettano la situazione (ingegneri, informatici a cui viene proposto di lavorare come operai) e che, una volta lì dentro, non hanno più alcuna mansione. Se non quella di cercare di far passare il tempo il più velocemente possibile. Riondino mantiene un buon controllo sull’intero sviluppo della narrazione, si affida a comprimari di livello (da Vanessa Scalera a Paolo Pierobon, da Domenico Fortunato a Gianni D’Addario), chiede a Elio Germano di calarsi negli abiti di questo ominicchio (in un paio di circostanze forse un po’ troppo sopra le righe) che attraverso il potere corrompe per farsi bello agli occhi dei vertici dell’azienda e, a sua volta, il neoregista impersona uno di quei “fiduciari della proprietà” a cui si faceva riferimento sopra: un omuncolo della stessa specie, a ben vedere, convinto di poter trarre benefici personali in qualità di delatore ai danni dei suoi “simili”. La cosa interessante è che a differenza di altri film o racconti simili, dove il personaggio “negativo”, l’infiltrato, alla fine muta il suo status agli occhi dello spettatore, “migliora”, qui Riondino non garantisce nessun tipo di risarcimento morale al suo personaggio, anzi. Un affresco degno di nota, dunque, ben supportato anche dalle musiche di Teho Teardo e arricchito dalla bella canzone di Diodato, La mia terra, sui titoli di coda.  In Grand Public alla XXVIII Festa di Roma, dal 30 novembre in sala distribuito da Bim.

Carmela De Rose.

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