DAL DIARIO DI UNA CASSIERA

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Storie incredibili ma quotidiane di un supermercato qualunque… 
CAPITOLO 1

Fila alle casse

“Signorinaaaaaaaaa, c’è fila alle casseeeee, potreste aprirne qualcuna in più?!?!”

Ecco che Buddha e i suoi mantra si impossessano di me, e mentre nella mia mente echeggia un “ohm ohm ohm” il mio respiro scende fino alla regione pelvica e, sicura di me, dopo aver passato le mani nel mio ciuffo biondo “tinta numero 13” con acqua ossigenata a 40 dico:” Ha ragione signore, chiamo subito in ufficio e cercheremo di far aprire una cassa”

“Una sola?!?!Ma sta scherzando?!?!Ma ha visto che fila?!?!”

Ecco che il canto corale degli angeli e degli arcangeli cerca insistentemente di accompagnare la mia educata risposta. “Certo signore, provvederemo subito”

“Si sbrighiiii, mica possiamo passare una giornata qui dentro”.

Certo è che il signore in questione con il garbo di un fruttivendolo samurai e tante rughe quanto quelle di una caretta caretta in vacanza a Tropea ha la pazienza di uno sciamano che ha bevuto un paio di bicchieri di Paesanella di San Giovanni in Fiore. 

A quel punto entro in panico, dove la trovo una cassiera, figuriamoci due. Chiamo, dal mio box di tre metri per due, l’ufficio contabilità. 

“C’è fila alle casse!” Dico al telefono intonando un motivetto alla Orietta Berti.

“E che ci posso fare!Abbiate pazienza, ho una marea di buoni pasto da contare, i buoni sconto li dovete spillare al tagliando di controllo e controllare la scadenza, i soldi li dovete mettere in ordine con l’ologramma a 30 gradi, e chiudetele le cerniere dei borsellini che poi dite che le monete le avete versato invece le avete perse, devo fare un versamento e ancora non ho chiuso il rendiconto perché la differenza cassa di ieri è esagerata. A proposito, adesso parlerò col direttore che dovrà prendere provvedimenti, troppi errori alle casse, siete troppo superficiali, per non parlare poi degli ammanchi di merce perché non controllate i carrelli quando escono, le buste a fine turno vanno contate, quante volte lo devo ripetere, e poi…”

“C’è filaaaaaaaaa, se non apriamo almeno una cassa qui al box scommetteranno per chi dei clienti mi farà fuori prima!”

“Sto uscendo!”

Sospiro di sollievo e indossata l’armatura da gladiatore palestrato e muscoloso del Colosseo mi dirigo verso la folla inferocita:” stiamo provvedendo ad aprire la cassa”.. mi allontano velocemente ma noto che un paio di questi mi seguono chiedendomi a bassa voce:”Signori’, quale cassa aprite così mi metto già in fila”. Farfuglio un paio di numeri e mi dileguo nel mio umile box quasi come Ratatouille dopo aver cucinato una zuppa di pesce putrido e cipolla. 

Questa scena si ripete molto spesso in un supermercato di un grosso centro commerciale ma non perché manchiamo di organizzazione o per carenza di personale ma perché molto spesso, nei centri commerciali, avvengono gli “Sbarchi in Normandia”, tutti insieme, stesso posto, stessa ora, e magari capita che per ore alle casse ti giri i pollici, al box chiami la collega seduta alla cassa e ti organizzi la lista della spesa, vai in bagno anche se non hai bisogno, ma, all’improvviso, come una tempesta a ciel sereno, ti ritrovi l’appuntamento dei clienti che, tutti insieme, si incontrano alle casse accompagnati da majorette e sbandieratori del palio di Siena. E nell’attesa, il chiacchiericcio di questi ultimi nasconde la musica che li accompagna mentre fanno la spesa. Che poi, vorrei proprio sapere con quale criterio si sceglie la musica nei supermercati. Alcuni supermercati adottano il metodo “sintonizziamoci su una radio moderna che manda musica da discoteca a palla così i nostri clienti, presi dal ritmo psichedelico, riempiranno i loro carrelli, ma li dovrai inseguire fino al parcheggio perché hanno dimenticato il resto.” Altri invece preferiscono una playlist composta da brani di musica soft “perché il cliente, principalmente viene a fare la spesa per rilassarsi..” Chissà perché per me fare la spesa è come un elettroshock impostato alla massima potenza che arriva direttamente al cervello e termina quando hai piegato le buste vuote di rafia e le hai rimesse nel cofano della macchina. Ed è in quel momento che guardi lo scontrino per verificare quanto hai speso e avvalori la tesi che sei un’idiota perché dovevi comprare solo il pane ma non lo hai preso.

Ma torniamo alla fila alle casse. 

La gente è talmente attaccata che se tu volessi infilare nel carrello un intero fegato di oca dal colore violaceo perché ti fa gola non lo fai perché ti senti giudicata dal vicino di carrello e dalla cassiera.

La cassiera. Dalla piega impeccabile alle unghie fluo, seduta alla sua postazione quasi come Lilli Gruber nell’edizione speciale delle 20.00 sulla prima rete nazionale. Alle volte non saluta, ma non lo fa per diseducazione ma perché il suo sguardo e’ concentrato a contare le casse d’acqua nel carrello senza farsene accorgere. Il suo occhio a fine turno ricorda tanto quello di Igor di Frankenstein. Dalla sua cassa non passa nulla che non sia stato digitato dal registratore fiscale. Lei sa tutto. Conosce il gusto di ciascun cliente che fa ingresso nel supermercato, sa bene a chi dare il famigerato centesimo in meno perche quella mattina in ufficio ne sono arrivati pochi pezzi e lei è parsimoniosa a tal punto di versarli a fine turno e dire:”Hai visto come sono stata brava?Non ne ho consumato nemmeno un pezzo”. Nel frattempo la fila dei clienti al box che reclamano quel mancato centesimo che non gli è stato dato alle casse e tu, per tenere buoni i clienti, ti fai fuori uno scatolo di omaggi della pasta in promozione e sfoggi il miglior sorriso degno di una pubblicità di un adesivo per protesi dentali. 

Ed è proprio in questo momento catartico che sopraggiunge in tuo aiuto il collega degli elettrodomestici che, dopo aver venduto un frigorifero, una camera da letto, una cucina,un frullatore, due phon, un microonde, tre cellulari, un tostapane e un computer impolverato preso dalla vetrina, grondante di sudore acido ti chiede:”Hai bisogno?” “E tu? Hai bisogno di acqua e zucchero?”. 

Il box, alle volte, diventa un ricovero per gatti sopravvissuti al traffico in tangenziale all’ora di punta. Benché i tuoi colleghi vorrebbero darti una mano sai bene che in quel momento sei tu Madre Teresa di Calcutta che dovrà accudirli con premura e diligenza. 

Nel cassetto del box ci sono sempre, o quasi, delle caramelle rigorosamente incartate con lo scontrino fiscale. Servono appunto per i cali di pressione ma anche, e soprattutto, per alleviare gli attacchi di fame improvvisi. Sfiderei chiunque a non avere fame in un supermercato, dove sotto gli occhi ti passano tutte le prelibatezze possibili e immaginabili.

Senza aprire tutto il cassetto, con aria fugace, continui a parlare con il cliente ma nel frattempo hai scartato la caramella e ne hai scelto anche il gusto. Lo riconosci dal rumore della carta. Alla prima distrazione del cliente, con una mossa degna di Houdini, la infili in bocca e la ingoi senza averla gustata. Questo ti basta. Sapere che nello stomaco hai un po’ di zucchero ti fa stare bene. Peccato che una volta al posto di una caramella ingoiai un chiodino rotto di un anti taccheggio…menomale che era senza parte appuntita…non mi successe nulla, per fortuna. Non suono’ nemmeno il pannello all’uscita. Roba da matti.

Una volta un cliente ci regalo’ un pacchettino di Pocket Coffee da 5. Con quello bivaccammo alla luce del sole per tre minuti. 

Invece, quella volta in cui un cliente voleva omaggiarci con un fiaschetto di vino fatto in casa non accettammo. Non era il caso, non si possono accettare doni da clienti e da perfetti sconosciuti, soprattutto per una sicurezza personale. Quanti gradi era quel vino? Dove era stato prodotto? L’unica cosa che chiedemmo al cliente fu il perché di quel regalo. Disse che ormai ci considerava come suoi nipoti, che spesso eravamo talmente gentili con lui che preferiva fare qualche km in più per fare la spesa piuttosto che andare al supermercato sotto casa. Ringraziammo il nonno cliente che andò via portandosi indietro il fiaschetto del vino da noi educatamente rifiutato. Non lo vidi più..

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